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Trento, 16 marzo 2012
L’AUTONOMIA SI DIFENDE SENZA NOSTALGIE TIROLESI
(sulla manifestazione popolare dei trentini per l'Autonomia del 10 marzo, a Trento)
di Marco Boato, già parlamentare dei Verdi
dal Corriere del Trentino di venerdì 16 marzo 2012

Con un preveggente articolo di fondo di Simone Casalini («La retorica scende in piazza»), il Corriere del Trentino del 7 marzo aveva ammonito in anticipo sui limiti che, fin dall’inizio, appariva avere la manifestazione «in difesa dell’autonomia».

La patetica rivendicazione di paternità al Patt, fatta il giorno prima dall’assessore Franco Panizza, non solo ne ha sconfessato il carattere «apartitico», ma si è dimostrata anche un autentico «boomerang» riguardo alla voglia di partecipazione. Il 10 marzo, giorno del raduno, il direttore del Corriere del Trentino, Enrico Franco, aveva ammonito: «L’adunata rischia di essere molto funzionale al mantenimento dell’attuale sistema di potere (ormai insofferente al limite temporale per qualsiasi mandato elettivo) e assai meno alla tutela della specialità istituzionale».

Avendo personalmente espresso forti perplessità proprio sul Corriere, ho ritenuto doveroso non aspettare le cronache del giorno dopo, ma andare a vedere e ascoltare direttamente. E l’ho fatto, in modo intenzionale, dal primo all’ultimo minuto, per poterne ricavare una valutazione obiettiva e completa. Questa coincide in gran parte con le considerazioni svolte da Luca Malossini («Una caricatura dal fiato corto»), ma anche con le riflessioni fortemente critiche che sono comparse, domenica 11 marzo, pure sugli altri due quotidiani trentini: raramente si è trovata un’assonanza così totale nei giudizi di tutti gli organi di stampa. Il che significa che i più attenti osservatori hanno saputo evidenziare all’unisono i limiti evidenti di quella manifestazione.

Mi ha lasciato, invece, francamente stupito la valutazione entusiastica espressa dal presidente Lorenzo Dellai, questo la dice lunga sull’attuale lucidità di giudizio di un uomo di cui pure tutti riconoscono le capacità politiche. Da molti anni non sì era mai visto un così vasto e lungo «battage» pubblicitario in preparazione di una manifestazione di piazza: articoli sui giornali, conferenze stampa, trasmissioni televisive, innumerevoli dichiarazioni preventive, annunci a ripetizione di questo o quell’intervento. Le parole dal palco sono state davvero numerosissime, mentre la piazza non si è mai riempita Dopo un’ora e mezza, buona parte del pubblico ha cominciato rapidamente a defilarsi facendo sorgere qualche perplessità sulla reale motivazione di molti dei partecipanti. Nell’intervento conclusivo, il volonteroso Lorenzo Baratter ha parlato, con grande ma immotivato entusiasmo, di «giornata memorabile» di fronte a una piazza Battisti semivuota.

Lorenzo Baratter è uno storico e aveva in mente fin dall’inizio, insieme a molti dei suoi colleghi del comitato promotore, l’idea di replicare una delle grandi manifestazioni dell’Asar del dopoguerra, di cui lui stesso ha scritto con competenza. Ma è stato proprio questo l’errore di fondo della manifestazione del 10 marzo e di molti degli interventi che si sono succeduti: avere la testa nostalgicamente voltata all’indietro, a un «glorioso passato», senza rendersi conto di che cosa abbiano significato oltre 60 anni di storia politica, sociale, istituzionale che si sono succeduti. Anche se in vari discorsi, per la verità, a questa storia lunga e complessa si era fatto riferimento, gli unici applausi arrivati istintivamente dalla piazza (verrebbe da dire, «dalla pancia»), erano legati all’evocazione dell’impero austro-ungarico, alle critiche all’Italia, alle battute polemiche sulle regioni meridionali, a una malintesa identità tirolese che riecheggiava anche in molti dei cartelli preconfezionati.

Non è davvero un caso se – a parte il ceto politico – in quella piazza c’era la quasi assoluta assenza di cittadini di Trento, Rovereto e dei centri urbani maggiori. Mentre le centinaia di persone presenti erano prevalentemente e dichiaratamente provenienti dalle valli (non tutte, per la verità). Una prova di forza, tramutatasi in una prova di debolezza del Patt periferico, con un vasto contorno di ceto politico di quasi tutti i partiti, ma senza alcuna partecipazione dei militanti e simpatizzanti di questi stessi partiti, per non parlare dei cittadini «comuni». Eppure gli inviti alla partecipazione si erano sprecati e moltiplicati nei giorni precedenti. Addirittura il presidente del consiglio delle autonomie aveva inviato messaggi agli amministratori locali per sollecitarne calorosamente la partecipazione (invito pressante, accolto solo in minima parte).

Si è visto un gran sventolare di bandiere della Provincia autonoma, ma era come se ci si trovasse nel vuoto istituzionale e geo-politico. Come se il Trentino non facesse parte della Repubblica italiana e dell’Unione europea. Neppure sul palco c’era una sola bandiera italiana e men che meno una bandiera europea. Alla banda cittadina è stato chiesto di suonare l’inno del Trentino. Nessuno ha pensato bene di far eseguire anche quello italiano e nemmeno l’inno alla gioia (dalla nona sintonia di Beethoven) di quell’Europa a cui solo a parole si è fatto tanto riferimento.

C’è davvero una grande mancanza di consapevolezza storica in questa miope e risentita difesa dell’autonomia, chiusa in se stessa e diffidente della sua appartenenza alla Repubblica italiana e all’Unione europea. Alcide De Gasperi, tante volte evocato nei discorsi dal palco, era presidente del Consiglio dell’Italia repubblicana quando firmò l’accordo De Gasperi-Gruber del 1946. Il primo statuto di autonomia del 1948 fu approvato con legge costituzionale dall’Assemblea costituente, prima delle elezioni politiche del 18 aprile 1948. Prima ancora, nel 1947, l’Assemblea costituente italiana aveva introdotto in Costituzione l’articolo 5 («La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali»), l’articolo 6 («La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche») e soprattutto l’articolo 116 che ha riconosciuto anche al Trentino-Alto Adige «forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti adottati con legge costituzionale».

La «Commissione dei 19», istituita nel 1961 dopo l’apertura della vertenza sudtirolese all’Onu con l’Austria; il «Pacchetto» del 1969, il nuovo statuto di autonomia del 1972; la «quietanza liberatoria» dei 1992; le innumerevoli norme di attuazione; la profonda revisione statutaria del 2oo1 (di cui fui io stesso il primo firmatario) che ha introdotto la nuova forma di governo provinciale e norme a tutela di ladini, mocheni e cimbri (prima assenti); la stessa modifica dell’articolo 116 sempre del 2001 («La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e Bolzano»): tutto ciò è stato frutto non di un’impaurita chiusura in se stessi bensì di un lunghissimo lavoro condotto prima di tutto (e soprattutto) dentro il Parlamento, il governo e nei rapporti internazionali. Un lavoro fatto a difesa e promozione dell’autonomia trentina (sudtirolese) non con riferimenti meramente nostalgici a un glorioso passato che non tornerà mai più, ma con la capacità di apertura, di lungimiranza, di dialogo, di trattativa, di elaborazione di sempre nuove norme, anche di rango costituzionale.

Per saper fare tutto questo, e continuare a farlo, non si può rimanere con la testa girata all’indietro, con la nostalgia dell’Asar della seconda metà degli anni ‘4o. Non si possono cancellare l’identità e la storia trentina annegandole in un penoso e patetico «pan-tirolesismo». Non si può pensare di chiudersi in se stessi, per paura di quanti premono ai nostri confini, insultando la Repubblica italiana di cui tacciamo parte e dalla quale abbiamo ottenuto tutte le norme che attualmente configurano e garantiscono la nostra autonomia speciale.

Nella bella intervista fattagli alcuni giorni fa da Simone Casalini, sempre sul Corriere del Trentino, Claudio Molinari lancia giustamente un monito di fronte ai rischi di arroccamento in se stessa dell’autonomia trentina. Non sarebbe un rivendicare la storia, ma in realtà un rinnegare la nostra storia. Tutte le tappe sopra ricordate (e altre ancora più recenti, fino all’accordo di Milano del 2009, inserito poi nello statuto) sono state percorse, dai protagonisti di ciascuna epoca, soltanto avendo sempre la capacità di guardare più al futuro che al passato, costruendolo in modo aperto e dinamico, nel contesto istituzionale italiano ed europeo.

Marco Boato
Già parlamentare dei Verdi

 

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